Casa all'asta - Pignoramento abitazione
Assistiamo famiglie e proprietari di immobili 
che si trovano ad affrontare la minaccia di un pignoramento 
				Ci sono alternative alla vendita all’asta? 
Come evitare la perdita della casa? 
				Spesso chi si trova schiacciato dai debiti e subisce il pignoramento della proprietà immobiliare, non agisce per tempo, convinto che non vi siano alternative alla vendita all’asta.
 In realtà, anche in fase avanzata della procedura esecutiva, è possibile intervenire con strumenti legali e soluzioni sostenibili per evitare la vendita coattiva dell’immobile e avviare un percorso di ristrutturazione del debito.
				Come possiamo aiutarti?
Attraverso un’analisi mirata della posizione debitoria e una negoziazione strutturata con i creditori, costruiamo soluzioni reali per fermare l’esecuzione, azzerare l’indebitamento residuo e mantenere l’abitazione, oppure accompagnare il cliente verso una vendita volontaria che salvaguardi il patrimonio residuo e permetta la chiusura della posizione debitoria.
Un aspetto spesso sottovalutato riguarda le spese condominiali non pagate. Molti ritengono che si tratti di un debito “minore”, quando in realtà può generare rapidamente una procedura esecutiva autonoma, con gravi conseguenze patrimoniali. In base alla Legge n. 220/2012, l’amministratore può agire legalmente già sei mesi dopo l’approvazione del bilancio consuntivo, senza necessità di ulteriori autorizzazioni assembleari. Ciò significa che anche un debito condominiale può trasformarsi, in tempi brevi, in un pignoramento immobiliare o in un aggravio di costi legali difficili da gestire.
Il nostro intervento mira a intercettare questi segnali di crisi prima che si aggravino, tutelando i diritti del debitore e impostando una strategia concreta per fermare l’escalation del debito.
Operiamo con un approccio integrato, umano e altamente specializzato, valutando nel dettaglio la situazione finanziaria complessiva e proponendo soluzioni compatibili con le effettive possibilità economiche del cliente.
Grazie all’esperienza maturata in centinaia di casi analoghi, siamo in grado di affrontare situazioni anche complesse e multilivello, che coinvolgono debiti bancari, finanziari, fiscali e condominiali. L’obiettivo è sempre lo stesso: evitare che una crisi temporanea comprometta definitivamente la stabilità familiare, la proprietà immobiliare e la possibilità di ricostruire un futuro finanziariamente equilibrato.
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Domande frequenti
					 Se non ritiro un atto giudiziale notificatomi cosa succede? 
							
			
			
		
						
				Se rifiuti di ricevere un atto giudiziario o non provvedi al suo ritiro presso l’ufficio postale entro i termini previsti, la tua omissione non impedisce che l’atto produca i suoi effetti legali. L’atto viene infatti messo a tua disposizione per dieci giorni. Se entro questo periodo non viene ritirato, la legge considera comunque perfezionata la notifica: si presume, cioè, che tu ne abbia avuto conoscenza, anche se non lo hai materialmente letto. Questo meccanismo serve a evitare che un comportamento omissivo possa bloccare il regolare svolgimento di un procedimento.
Tra gli atti giudiziari più comuni che possono esserti notificati rientrano, ad esempio, una citazione in giudizio per una causa civile, un decreto ingiuntivo con cui un creditore ti chiede formalmente il pagamento di un debito, un atto di pignoramento relativo all’avvio di un’esecuzione forzata, oppure un’intimazione di sfratto per morosità o per finita locazione. Puoi ricevere anche atti di precetto, sentenze o ordinanze del giudice, notifiche nell’ambito di procedimenti penali come un avviso di garanzia, convocazioni per interrogatori, o ancora comunicazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, come cartelle esattoriali o atti di accertamento.
Questi atti possono esserti notificati tramite posta, con raccomandata e avviso di ricevimento, attraverso un ufficiale giudiziario oppure, in alcuni casi, via PEC, se sei un’impresa, un professionista o comunque un soggetto registrato in pubblici elenchi.
È importante sapere che ignorare o non ritirare un atto giudiziario non ti mette al riparo dalle sue conseguenze, anzi: potresti perdere la possibilità di esercitare il tuo diritto di difesa entro i termini stabiliti. Per questo, è sempre consigliabile affrontare tempestivamente qualsiasi comunicazione legale ricevuta.
					 Sono nullatenente e percepisco una pensione di € 1.000,00. Cosa rischio? 
							
			
			
		
						
				Se percepisci una pensione di € 1.000,00 e non possiedi beni intestati, sei in una situazione in cui il rischio effettivo di pignoramento è molto limitato. La legge, infatti, tutela un importo minimo necessario per vivere: il cosiddetto “minimo vitale”. Attualmente, per le pensioni, tale soglia è fissata in 1.000 euro mensili (pari al doppio dell’importo massimo dell’assegno sociale).
Questo significa che l’importo della pensione fino a 1.000 euro non può essere pignorato. Solo l’eventuale eccedenza rispetto a questa soglia può essere aggredita, e comunque solo nei limiti di un quinto (ossia il 20%) per crediti ordinari.
È bene precisare che questa tutela vale solo per le pensioni, non per altri redditi (come stipendi, compensi professionali o rendite): su questi, i criteri di pignorabilità sono diversi e più flessibili, sebbene anche in quei casi esistano delle soglie minime impignorabili.
					 Ho ricevuto una cartella esattoriale, cosa devo fare? 
							
			
			
		
						
				In primo luogo, è sempre opportuno verificare se l’imposta indicata nella cartella non sia già stata versata in passato. In tal caso, sarà possibile segnalare l’avvenuto pagamento all’Ente creditore o all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, allegando la documentazione che lo prova, per ottenere lo sgravio della cartella.
Qualora, invece, il debito sia effettivamente dovuto, il contribuente ha tre principali opzioni:
- Opporsi alla cartella entro 60 giorni dalla notifica, qualora presenti vizi formali o sostanziali (come ad esempio mancanza di motivazione, errata intestazione, calcoli sbagliati o difetto di notifica). L’opposizione va proposta mediante ricorso giudiziale, con l’assistenza di un avvocato, presso l’autorità competente.
 - Eccepire la prescrizione del credito. Se è trascorso troppo tempo tra la scadenza originaria del tributo e la notifica della cartella (generalmente 5 o 10 anni, a seconda della natura dell’imposta), il contribuente può sollevare un’eccezione di prescrizione, anche autonomamente. 
Attenzione: la sola anzianità del debito non è sufficiente per farlo considerare prescritto. Se la cartella è stata validamente notificata nei termini, anche molti anni fa, la prescrizione può essere interrotta e il credito resta esigibile. 
- Richiedere la rateizzazione del debito, quando non si hanno fondati motivi per contestare la cartella. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione consente, in via ordinaria, la rateizzazione fino a 72 mesi, e in caso di comprovate difficoltà economiche, una rateizzazione straordinaria fino a 120 mesi. È necessario presentare apposita istanza, anche online, indicando la propria situazione reddituale e patrimoniale.
 
Infine, è bene ricordare che l’inerzia o il ritardo nei pagamenti comportano un incremento costante del debito, per effetto di interessi di mora, sanzioni e costi di riscossione. Agire tempestivamente, anche solo per chiedere una sospensione o una verifica della cartella, è spesso decisivo per evitare aggravi economici difficilmente recuperabili.
					 Cos'è la cartolarizzazione a valenza sociale e come può aiutarmi? 
							
			
			
		
						
				La cartolarizzazione a valenza sociale di crediti ipotecari deteriorati, introdotta dalla Legge di Bilancio 2019 (Legge 30 dicembre 2018, n. 145) rappresenta una risposta innovativa ai problemi derivanti dalla vendita all’asta delle abitazioni e offre soluzioni più sostenibili ad alto impatto sociale.
Quando un debitore non è riuscito a pagare le rate del mutuo e non sa come evitare il pignoramento della sua casa può rivolgersi a un veicolo di cartolarizzazione a valenza sociale, formulando un’istanza apposita (richiesta di aiuto) per fare acquistare il suo debito dalla banca creditrice, estinguerlo cedendo la proprietà del suo immobile e mantenerne il possesso con un contratto di locazione.
					 Se ho un mutuo cointestato con un’altra persona e questa smette di pagare le rate, cosa succede? 
							
			
			
		
						
				Ho un immobile cointestato con un’altra persona: cosa succede se ci sono debiti, un mutuo o mancati pagamenti?
Dipende dal tipo di obbligazione e da chi è il debitore.
Se si tratta di un mutuo cointestato, ciascun intestatario è responsabile per l’intero debito verso la banca. Questo significa che, anche se nella pratica ciascuno versa una parte della rata, la banca può chiedere l’intero importo a uno solo dei due se l’altro smette di pagare. In caso di inadempimento, la banca ha il diritto di agire sull’intero immobile dato in garanzia, anche se solo uno dei mutuatari è moroso. Il soggetto che continua a pagare regolarmente può poi agire nei confronti dell’altro per recuperare la sua quota.
Diversa è la situazione in cui l’immobile sia cointestato, ma il debito sia personale e riferibile solo a uno dei due proprietari. In questo caso, il creditore potrà agire solo sulla quota di proprietà del soggetto debitore. Tuttavia, la quota indivisa può essere pignorata e venduta all’asta, con il rischio che il comproprietario si ritrovi con un estraneo titolare di una parte dell’immobile. In alcuni casi, si può arrivare alla divisione giudiziale forzata e alla vendita dell’intero bene, anche se l’altro intestatario non ha alcun debito.
In entrambi i casi, è importante agire tempestivamente per tutelare i propri diritti e valutare eventuali soluzioni legali o negoziali.
					 Cos’è il pignoramento della casa e quando può avvenire? Come posso tutelarmi? 
							
			
			
		
						
				Il pignoramento della casa è l’atto con cui il creditore, dopo aver ottenuto un titolo esecutivo (come un decreto ingiuntivo o un contratto di mutuo), chiede al tribunale di avviare la vendita forzata dell’immobile del debitore per soddisfare il proprio credito. Questa procedura può essere avviata non solo da una banca in caso di mutuo non pagato, ma anche da altri creditori, come finanziarie, condomìni o Agenzia delle Entrate, anche per debiti relativamente modesti.
La legge non pone una soglia minima assoluta per attivare il pignoramento della casa, ma nei fatti l’azione viene valutata sulla base della convenienza economica per il creditore. È fondamentale ricordare che anche debiti nati da cartelle esattoriali o fatture non saldate possono condurre, nel tempo, a un’esecuzione immobiliare.
Per tutelarsi, è possibile attivarsi con diversi strumenti – come opposizione, rateizzazione o saldo e stralcio – ma ognuna di queste soluzioni ha limiti applicativi e vincoli procedurali, che devono essere valutati caso per caso con l’assistenza di un legale. Una FAQ dedicata può aiutare ad approfondire meglio queste opzioni.
					 Perché con la vendita della casa all’asta rimangono ancora debiti? 
							
			
			
		
						
				Quando un immobile viene venduto all’asta, spesso il ricavato è molto inferiore al valore reale di mercato. A ciò si aggiungono costi della procedura, spese legali, perizie, compensi del delegato alla vendita e interessi di mora accumulati nel tempo.
Questo significa che, anche dopo la vendita della casa, può restare un debito residuo a carico del debitore, che dovrà continuare a pagare. A questo si somma la permanenza della segnalazione nelle banche dati creditizie (come CRIF) e il rischio di ulteriori pignoramenti, ad esempio sullo stipendio, pensione o altri beni.
Ad esempio: un immobile del valore di mercato di €150.000 può essere venduto all’asta per €80.000, mentre il debito complessivo (tra capitale, interessi e costi) può ammontare a €120.000. Il debitore, pur avendo perso la casa, resta esposto per €40.000.
					 La casa può essere pignorata anche se ci vivono minori, disabili o anziani? 
							
			
			
		
						
				Sì. La legge non prevede tutele automatiche per il debitore sulla base della sua composizione familiare. La presenza di figli minori, soggetti disabili o anziani nell’abitazione non impedisce né sospende la procedura esecutiva. Tuttavia, in alcuni casi, queste circostanze possono essere valutate dal giudice in sede di richiesta di sospensione o di conversione del pignoramento, ma non costituiscono un impedimento legale alla vendita all’asta.
					 Cos’è la conversione del pignoramento e come funziona? 
							
			
			
		
						
				La conversione del pignoramento è uno strumento che consente al debitore di evitare la vendita forzata dell’immobile offrendo al giudice il pagamento graduale del debito. Per accedere a questa procedura è necessario:
- presentare un’istanza al giudice;
 - versare almeno un sesto del debito complessivo (capitale, interessi, spese);
 - proporre un piano di pagamento del residuo in massimo 48 mesi.
 
Il giudice valuterà l’istanza e, se riterrà fondate le condizioni economiche del debitore, potrà autorizzare la conversione. Tuttavia, questa non è un diritto automatico, né sempre concessa, e non è sempre conveniente: richiede una disponibilità immediata di liquidità e il rispetto rigoroso del piano rateale approvato. In caso di mancato rispetto anche di una sola rata, la procedura esecutiva riprende.
					 Cosa significa essere segnalati come cattivi pagatori? 
							
			
			
		
						
				Quando un soggetto non paga in modo regolare un debito (mutuo, prestito, carta di credito, leasing, ecc.), la banca o la finanziaria può segnalarlo ai Sistemi di Informazioni Creditizie (SIC), come CRIF o Experian.
La segnalazione comporta la classificazione del soggetto come cattivo pagatore, con la conseguente impossibilità di ottenere nuovi finanziamenti per diversi anni. Anche il semplice ritardo nel pagamento di due rate consecutive può essere sufficiente per attivare questa procedura.
La segnalazione può avvenire in caso di:
- ritardi o mancati pagamenti di rate di mutui, prestiti, carte revolving;
 - sconfinamenti di conto corrente prolungati;
 - assegni scoperti;
 - inadempimenti verso finanziarie anche per importi contenuti.
 
Tuttavia, è possibile chiedere la cancellazione della segnalazione illegittima, dimostrando che il pagamento era regolare o che il debito non era dovuto.
					 Cos’è un decreto ingiuntivo e cosa fare se lo ricevo? 
							
			
			
		
						
				Il decreto ingiuntivo è un provvedimento emesso dal giudice su richiesta del creditore, che intima al debitore di pagare una somma di denaro entro 40 giorni, pena l’esecuzione forzata.
Il creditore deve dimostrare il proprio credito allegando documentazione scritta (come fatture, contratti, estratti conto). Se il debitore non si oppone entro il termine, il decreto diventa esecutivo e può essere utilizzato per procedere con pignoramenti.
Se si riceve un decreto ingiuntivo è fondamentale:
- non ignorarlo;
 - verificare la fondatezza del credito;
 - consultare un avvocato per valutare l’opportunità di proporre opposizione nei termini previsti;
 - in alternativa, valutare il pagamento o una transazione stragiudiziale.
 
					 Cos’è il saldo e stralcio e come funziona? 
							
			
			
		
						
				Il saldo e stralcio è una forma di accordo transattivo tra debitore e creditore per chiudere il debito con il pagamento di una somma inferiore al totale dovuto.
Il debitore invia una proposta motivata (spesso assistito da un legale o da un intermediario), spiegando la propria situazione economica. Il creditore può accettare, rifiutare o negoziare condizioni diverse.
L’accordo raggiunto viene formalizzato per iscritto, specificando:
- l’importo ridotto da versare;
 - le modalità e i tempi di pagamento (anche rateali);
 - la rinuncia del creditore a ogni altra pretesa una volta ricevuto il pagamento.
 
Attenzione: non è un diritto del debitore. Il creditore può legittimamente rifiutare la proposta. Inoltre, per essere efficace, l’accordo deve essere eseguito correttamente, altrimenti può tornare ad essere esigibile l’intero debito.
					 Cosa succede se non pago i debiti con banche o finanziarie? 
							
			
			
		
						
				Il mancato pagamento di un mutuo, prestito personale, carta di credito o altro prodotto finanziario comporta conseguenze progressive:
- Dopo 30 giorni: maturano interessi di mora e si è considerati “morosi”.
 - Dopo 60 giorni o due rate non pagate: può scattare la segnalazione nei SIC come cattivo pagatore.
 - Dopo 180 giorni o più di 6 rate non pagate (anche non consecutive): il creditore può risolvere il contratto e richiedere l’intero debito residuo in un’unica soluzione.
 - Fase esecutiva: se il debitore non salda, la banca o la finanziaria può avviare un’azione giudiziaria per decreto ingiuntivo, seguita da pignoramento di stipendio, pensione, conto corrente o casa.
 
È fondamentale non sottovalutare neanche i debiti di modesto importo: nel tempo, interessi, spese e azioni legali possono trasformarli in esposizioni ben più gravi.
					 Cosa devo fare se voglio chiedere un mutuo ma in passato ho avuto problemi di pagamenti? 
							
			
			
		
						
				È opportuno verificare le tue posizioni in tutte le centrali rischi con largo anticipo (almeno 6 mesi prima di chiedere il mutuo). Se risulta ancora qualcosa di negativo, valuta il da farsi:
- Se è vicino alla scadenza dei termini (es. mancano pochi mesi alla cancellazione automatica), magari conviene attenderequalche mese e presentarsi con report puliti.
 - Se è un errore, contestalo e fallo correggereprima di fare domanda.
 - Se è corretto ma datato e intanto hai ricostruito il merito (es. dopo quel ritardo hai 2 anni di pagamenti regolari altrove), preparati a spiegare la situazione all’istituto e porta documenti che provano che ormai sei affidabile (contratto di lavoro stabile, ecc.). Alcune banche hanno politiche meno rigide e possono accettare mutui anche con piccoli intoppi passati, specie se giustificati (es. “ho avuto 2 ritardi 3 anni fa perché perso lavoro, ma ora tutto ok”).
 
					 In caso di segnalazione illegittima, oltre a farmi cancellare posso chiedere i danni? 
							
			
			
		
						
				Sì, come trattato in dettaglio, hai diritto al risarcimento di tutti i danni subiti:
- Danno patrimoniale: ad esempio il maggior costo dei finanziamenti ottenuti nonostante la segnalazione, le occasioni di credito perse (se dimostri ad es. che non hai ottenuto un mutuo e hai dovuto rivolgersi a finanziatori più costosi), eventuali perdite subite perché senza credito hai dovuto cessare un’attività lucrosa.
 - Danno non patrimoniale: stress, ansia, lesione della reputazione, dell’immagine di onorabilità e solvibilità. Pensa ad un imprenditore noto in piazza il cui nome compare come insolvente: l’immagine ne patisce.
Questi danni vanno richiesti preferibilmente in sede giudiziale civile (l’Arbitro Bancario può riconoscere piccole somme, ma per grandi danni serve il tribunale). Abbiamo visto che servono prove, anche presuntive: è utile raccogliere qualsiasi evidenza (lettere di rifiuto, testimonianze, articoli di giornale se capitasse, ecc.). Molti hanno ottenuto risarcimenti anche importanti. Ad esempio, Cass. 3133/2020 ha aperto all’uso delle presunzioni e ha fatto capire che se eri un imprenditore affidabile e vieni bollato come cattivo pagatore ingiustamente, è logico che hai subito un danno nella tua capacità di fare affari. 
In sostanza sì, puoi e devi chiedere i danni se hai avuto conseguenze. Il calcolo non è matematico ma basato su equità e circostanze.
					 Un garante o coobbligato viene segnalato allo stesso modo del debitore principale? 
							
			
			
		
						
				In Centrale Rischi, sì: se un garante presta fideiussione, nelle segnalazioni figura tra i coobbligati. Se il debitore principale finisce a sofferenza, la banca di solito – dopo aver escusso il garante – classifica a sofferenza anche la posizione del garante (dovendo informarlo anch’egli). Nei SIC privati, dipende: solitamente segnalano il titolare del contratto. Il garante persona fisica non è registrato se non quando effettivamente chiamato a pagare e inadempiente a sua volta. Quindi il garante appare:
- In CR: sicuramente, come posizione “garanzie prestate” e poi potenzialmente come insolvente se non paga.
 - In CRIF: se aveva firmato il contratto di finanziamento come coobbligato solidale, allora sì appare. Se parliamo di un mero garante, alcuni sistemi creditizi potrebbero non registrarlo fino a eventuale escussione. In ogni caso, se il garante paga al posto del debitore, la sua segnalazione verrà poi aggiornata a pagato (ma resta traccia che si è dovuto escuterlo).
 
					 L’istituto di credito può rifiutare un finanziamento solo perché risulto come cattivo pagatore? 
							
			
			
		
						
				Sì, assolutamente. Anzi, succede di routine. Le politiche di rischio delle banche prevedono quasi sempre di non erogare nuovi crediti a chi ha segnalazioni negative in corso. Anche un solo ritardo recente potrebbe portare a un rifiuto, figurarsi una sofferenza.
Non c’è un obbligo per la banca di concedere credito, quindi se dal CRIF risulta male, possono legittimamente rifiutare o proporre condizioni peggiori (tasso più alto, richiesta di garanzie). L’unico tuo diritto è che se la decisione di rifiuto del credito è basata su informazioni di un database (ad esempio CRIF), la banca dovrebbe informarti di ciò e del tuo diritto di rettifica (lo prevede la normativa sul credito al consumo e il GDPR sull’profiling).
					 Una volta cancellata la segnalazione, la mia posizione torna “pulita”? 
							
			
			
		
						
				Sì, ai fini delle valutazioni future, se la segnalazione non appare più, per i nuovi finanziatori è come se quell’evento non fosse mai (ufficialmente) esistito. Occorre però distinguere:
- Se è cancellazione per decorrenza dei termini, i sistemi semplicemente non mostreranno più quell’informazione (anche se può essere stata archiviata internamente). Quindi la tua “scheda” che vedrà la banca sarà priva di note negative (a meno di altre in corso).
 - Se è cancellazione anticipata (ad esempio disposta dal Garante o ABF per illegittimità), il sistema creditizio di solito elimina proprio il record o lo rettifica in neutro. Anche la Centrale Rischi, se una banca rettifica, rimuove/aggiorna gli archivi (nel senso che se una sofferenza era sbagliata, la banca la riclassifica e nelle nuove visure quell’importo comparirà come regolarizzato o sparirà).
 
In entrambi i casi, futuri creditori non vedranno nulla di quel trascorso.
					 Cosa succede se la segnalazione è sbagliata? (Ad es. io ho pagato tutto ma risulto moroso) 
							
			
			
		
						
				In caso di errore (purtroppo accade, scambi di persona, pagamenti non registrati, ecc.), devi subito contestare per iscritto alla banca e al gestore del SIC l’inesattezza e chiedere la correzione/cancellazione. Allegando prove (ricevute, contabili). La banca è tenuta per legge a correggere e inviare rettifica. Se fanno orecchie da mercante, puoi rivolgerti:
- Al Garante Privacy, perché detenere dati inesatti è violazione dell’art. 5 GDPR (esattezza dei dati).
 - All’ABF per far dichiarare l’errore e ottenere anche un indennizzo per i disagi.
 - Al limite, in tribunale con urgenza, perché un dato falso diffuso è un danno grave (pensiamo a chi è pulito ma appare insolvente).
Gli errori materiali di solito vengono risolti rapidamente. 
Tieni presente che hai diritto anche al risarcimento di eventuali danni subiti a causa dell’errore (ad esempio, se ti hanno rifiutato un mutuo per quell’errore).
					 Posso ottenere la cancellazione anticipata della segnalazione negativa se pago il dovuto? 
							
			
			
		
						
				Se la segnalazione è corretta e recente, generalmente no, devi attendere i tempi standard di conservazione.
Pagare è sempre opportuno perché viene aggiornato lo status a “regolarizzato” (che i futuri creditori vedono meglio di “non pagato”), ma i dati non spariscono subito. In qualche caso, la banca per politica commerciale può richiedere al sistema creditizio la cancellazione immediata quando il cliente salda, ma è una concessione discrezionale non un obbligo. Se però ritieni che la segnalazione fosse già errata o illegittima, pagando hai comunque titolo di chiedere l’immediata cancellazione perché a quel punto il mantenimento sarebbe ingiustificato.
Non esiste un diritto a cancellazione immediata “a pagamento avvenuto”. Nella Centrale Rischi pubblica, appena paghi la banca dal mese successivo smette di segnalare quel debito, però come detto traccia storica per 36 mesi rimane consultabile.
					 Quanto tempo resto segnalato se ho avuto problemi? 
							
			
			
		
						
				Dipende dal tipo di problema e dal sistema:
- Per CRIF/Experian/CTC: un ritardo di poche rate poi sanato resta 12 o 24 mesi dalla data in cui hai pagato l’arretrato. Un finanziamento mai rimborsato (insoluto) resta 36 mesi (3 anni) dalla fine del rapporto o ultimo aggiornamento, e comunque al massimo 5 anni dalla scadenza contrattuale. Dopo tali periodi la segnalazione negativa viene rimossa automaticamente. Le informazioni positive (pagamenti regolari) rimangono 5 anni dalla chiusura.
 - Per la Centrale Rischi Banca d’Italia: una volta che regolarizzi il debito o scendi sotto soglia, la banca smette di segnalarti e dopo 36 mesi quella vicenda non sarà più visibile agli altri.
 
Quindi massimo 36 mesi una volta chiusa la posizione. Se la posizione non è chiusa ed il tuo debito è ancora esistente, continuerai ad essere segnalato; le banche dati private come CRIF/Experian smettono di segnalare dopo 5 anni, mentre la CR pubblica continua finché non definisci il debito.
					 La banca è obbligata ad avvisarmi prima di segnalarmi come cattivo pagatore? 
							
			
			
		
						
				Dipende. Se sei un consumatore (ad esempio, hai un prestito personale, una carta di credito, un finanziamento finalizzato) la legge (art. 125 TUB) prevede che tu sia informato per iscritto almeno 15 giorni prima di inviare la prima segnalazione negativa a una banca dati. Questo ti darebbe modo di rimediare. Se la banca non lo fa e ti segnala lo stesso, la segnalazione è irregolare e potrai chiederne la cancellazione per vizio di procedura.
Invece, se sei un’impresa o un soggetto non consumatore, la normativa non impone un preavviso legale (tranne che devi comunque essere avvisato se ti classificano a sofferenza, ma l’avviso può anche essere contestuale o successivo).